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domenica 10 febbraio 2008

resistiamo

Iniziativa di Torino.
Forse devo preoccuparmi.
Non che non sia stata interessante e il colossale tendone che era stato approntato davanti alla Thyssen era a malapena sufficiente per contenere l'afflusso.
Però la relazione di Zipponi ha stentato ad elevarsi sopra al banale sindacalismo (st'omo, come altri prima di lui, non riesce proprio a fare il salto) e un operaismo abbastanza cieco e le conclusioni di Giordano sono state abbastanza inadeguate (più che altro perché non analizzano la prospettiva oltre le elezioni, cosa che, malgrado l'urgenza per il breve termine in un comunista è un po' pochino e perché dopo la quinta volta che porti la tua solidarietà a qualcuno in 15 minuti hai stufato e fai pensare alla piaggeria. Un po' di misura, per Giove).
In mezzo molte testimonianze (ma che il lavoro è per lo più lavoro di merda in condizioni di merda, tolti quattro ragazzini cresciuti nel funzionariato che non hanno lavorato un giorno in vita loro, lo sappiamo, Ci servirebbe un surplus di analisi, fatta dagli sfruttati invece che da soloni e analisti da scrivania), un po' di chiacchiere abbastanza vuote, analisi di qualche sindacalista (per lo più Fiom e SdL) piuttosto buone per quanto riguarda la fase e Ferrero che ha riconnesso la necessità di ricostruire la coscienza della classe nella situazione data, superando il contraccolpo della sconfitta operaia, insistendo sulla lotta allo sfruttamento a partire dagli immigrati (ricomporre la classe, appunto) e combattendo la trasformazione di ogni cosa in merce, a partire dalle persone e dall'ambiente.
Si è dimenticato uno dei grossi nodi dello sfruttamento, quello dato dal rapporto produzione riproduzione (le donne, incidentalmente) ma rispetto a campane che si sentono su altre parti sull'equidistanza tra capitale e lavoro o sull'eguaglianza delle opportunità (tra diseguali, incidentalmente) e altro corporativismo di bassa lega segna un bello iato.
Mo toccherebbe fasse un po' il culo.

6 commenti:

Barbara ha detto...

la metti tranquilla. la coscienza di classe. ma a me non è chiaro che classe.

giuseppe ha detto...

appunto

Anonimo ha detto...

Perché non sono stupita che non si vada oltre la scadenza elettorale quando si affrontano certe cose?
Molto semplicemente perché è lo stesso motivo che mi ha indotto, tra altri, a smettere di fare politica attiva all'interno di una sezione di parito, forse c'è stato un tempo, in cui questo non accadeva, ma penso fosse prima di 20 anni fa.
A parte questo credo che la "classe" ormai si potrebbe identificare nel famoso popolo che non arriva alla fine del mese, un fatto trasversale, a quanto pare.
Il punto secondo me è anche che una volta la politica aiutava a dare degli strumenti di lettura della realtà, oggi proprio i politici, i professionisti della politica sembrano i più sprovvisti di fronte ai cambiamenti e alle problematiche che emergono e non sarà il fatto di identificare nell'immigrato la nuova classe operaia a risolvere la questione permettendo di continuare a usare strumenti vecchi per situazioni inedite. Io penso che si sia consumata ormai qualsiasi tipo di fiducia nella politica come l'abbiamo conosciuta e non a torto, ogni giorno assisto alla disperata lotta di politici il cui unico scopo, a me pare, è l'autoconservazione come classe, sono occupati troppo dalla loro sopravvivenza per pensare al famoso bene comune. Mi pare più promettente ogni piccola iniziativa di autorganizzazione civile che cerchi di fondare esperienze di comunità alternative,sarebbe interessante trasferire certe cose a un altro livello, chissà?

giuseppe ha detto...

sarebbe certamente interessante
visto però che in ogni caso, anche le microazioni una qualche prospettiva che non sia la pura e semplice conservazione dell'esistente il fatto che riduci la tua azione ad uno spazio ristretto non ti disoensa da un'analisi complessiva.
L'unica posizione che ti dispensa da un'analisi complessiva è il conservatorismo.
Comunque, in una prospettiva di ricomposizione della classe (per se, che in se esiste sempre) far finta che in italia non esistano milioni di lavoratori immigrati sarebbe qualcosa pi di un esercizio intellettuale per altro neppure tanto interessante?

Barbara ha detto...

Ma secondo me il problema è che il dato economico non unifica più pe gnente. Quindi non so, lo stesso non arrivare a fine mese divide piuttosto di unire, e i lavoratori e le lavoratrici immigrate sono quanto di più diverso e disparato si possa immaginare (a meno che non abbiano già una qualche coscienza politica di sinistra: a quel punto grazie tante...).

giuseppe ha detto...

le lotte dei tardi anni 60 venivano dopo che, con le migrazioni dal sud, era stata immessa nel sistema produttiva una gran quantità di lavoratori depoliticizzata eppure dopo un piccolo periodo fu possibile organizzare uno dei momenti di unità della classe più grande che l'italia avesse visto fino a quel momento.
Le condizioni non sono immutabikli se non per la nostra disponibilità a considerarle tali.
Sapere dove si vuole andare permette per lo meno di non sbagliare la direzione.